La vecchia cinese pazza
Cammina tra locuste senza ali
Con il suo unico occhio di voci
Si racconta esorcismi disegnati
Diventa paglia al sole
Sacrificio traballante sopra il senso comune
Io aspetto
Sono eoni che lo faccio
Nel mentre mi leggo i passi
Li faccio scivolare nel più assurdo vortice
Mi impegno come un redentore sfiduciato
Mentre la vecchia cinese pazza
Se ne frega
E mi chiede soldi
Il suo dio è una medaglia senza testa ne croce
Imprecando affoga tra le locuste
Assicurandosi un paradiso di stracci sporchi
Month aprile 2011
La cecità del tatto
Insonne svegli carnalita’ offese
Cercando nel buio
Processioni di prostitute mai redente
Ti domandi prima dell’ indifferenza
Come sia il star nel ventre di un feroce mattino oscuro
Il confine supera la visione
Si sveste di ipocrisia lacrimata
E torna a dormirti al fianco
Senza disturbare
Rimango aldifuori di questa scena
Diventando regista unico
Delle dita che navigano le lenzuola
Immacolati e ciechi segugi del desiderio
Il nostro tatto si purifica nel tocco
Di quante ombre immaginate
Non abbiamo mai raggiunto
Malgrado le avessimo amate
Mira barattando le doti
E si immola lanciandosi nel vuoto
con ali di acciaio scintillante
artigli per ogni dito
che sommergono le fantasie che a malapena nasconde
Si erge come un fantoccio sopra le rovine di un circo informe
arrancando sensuale all’ultima dimora che ricordo
Ogni maledetto colpo lanciato contro quella ruota che gira
sempre più vorticosamente in se stessa
ed io miro sempre più concentrata
fino a voler colpire l’attimo esatto in cui tutte le mie domande avranno una risposta
diversa da quelle sbialnciate che evito ad ogni secolo
Baratto doti con pezzi di mosaici affilati
ed ogni giorno perdo qualche brandello di ieri
Ti vedo
mentre scansi lacrime da questo cielo come pioggia
che tu camminando tranquillo accetti ma non ti lasci bagnare
Fantocci appesi per la coda
allenati da furori che ora non ricordo
Ogni mia lama è un ricordo
un qualcosa di impreciso sull’orlo del dimenticare
non importa più se sono stati buoni o cattivi
sono solo coltelli da lanciare…
Il sagrato d’ametista
Chissà che si dice la gente quando cammina per strada e si guarda in giro
con quegli occhi che cercano scommesse per la giornata,
qualcosa che vada ben oltre ai minuti che gocciolano senza capolavori di fantasia
come se scendessero da una lama di un assassino sconosciuto e accettato da tutti
Chissà cosa pensa la donna che cammina davanti a me
divincolata tra vestiti troppo stretti per rendersi comoda
assomiglia ad un attrice al finire della carriera
troppo cerone sui sogni
troppe scarpe rotte da nascondere nel camminare
e ci si veste per impersonare desideri dozzinali
copiare lampare spente che fanno brillare aldilà di una scatola rumorosa
la sera ci svestiamo di quella troppa polvere che ha appassito i nostri figli lacrimati
e torniamo a indossare maglie lunghe fino a coprire la vergogna di non stupirci di più.
Chissà che paure hanno quegli occhi spenti che guardano dritti senza vedere
quei figli incompresi con il profumo di una galilea affondata
un arca spezzata prima del diluvio delle proprie beltà
Il banditore si è fermato appena prima di quello spiazzo
polveroso ma vuoto
eppure riempito di ogni occhiata di questa povera e splendida gente
ogni foglia che cammina su queste strade di velluto in fiamme
E’ una corsa a chi arriva prima in un luogo senza fretta
la mortalità del respirare a lungo e bene
masticare senza fondo
non aver più opere da comporre cantandosi addosso
E anche queste parole
non vogliono smettere
ci ho provato
eccome se ci ho provato
ma alla parola fine
urlavano
“ancora molt incubi da smaltire”
Non posso che continuare a esserne schiavo
Cosa ha pensato la madre che trascinava la figlia di qualcuno?
la piccola fiammiferaia vestita di tutto punto
con sandali sporchi di desideri
Il lupo cattivo di fiabe al contrario
dove i buoni hanno vinto la pace eterna
e i cattivi sono ancora li fermi a schernire i buoni propositi
A chi interessa cosa guarda la gente?
Se non a pensare: <guarda forse me?>
Siamo un verme lungo un mondo
egoista e senza interesse se non per interesse
Chissà cosa guarda la gente sul sagrato d’ametista
Stanco nel bel mezzo di nulla
Stanco di promettermi maree di petali blu
riposante invece di ottener pace
spingo il collo e poi la testa
lascio scivolare le mani sulle guance
scendono senza volontà dalle sopracciglia
sono pianure contorte
ogni muscolo ha corso per mille battiti d’espressioni
curvando per non sbandare a improvvisi sorrisi cesellati
E’ la terra della veglia
maledetta e feroce veglia che si ostina a parlarmi urlante
mentre vorrei colare da queste quattro gambe
Venite a stento stupidi efori
giudicate il re di chi mi tiene sveglio
rincuorate i gesti sottili di questo sbatter le palpebre come se fossero lame piegate
sono stanco e voglio riposare
in mezzo a questo ocenao di voci narranti
storie di dei rovesciati dalle giare di puro soffio al fiele
Stanco… le dita scivolano sulle parole
quando invece avrebbero bisogno di esser inchiodate ad assi di legno di cedro
io ti sottointendo
ti scivolo sconfitto dalla gravità di questo corpo espanso oltre il limite
sentirsi qui ed allo stesso tempo ovunque, aldifuori
è geometria sbagliata dove il sopra corrisponde al lato in diagonale di nessuna forma
alla fine è un letto a molle dimenticato in mezzo alla stanza
un prologo per un fachiro troppo stanco per ingannare
sono stanco e voi non lo sapete
sono a malapena in piedi e nemmeno mi porgete l’altra guancia
siete egoisti
piccoli calamari danzanti ed egoisti
siete voci narranti fuori campo
che mi arrivano alle orecchie quando mancano vacche sacre a scacciarvi con la coda
folletti blu e gobbi
niente di così splendido intorno a questa poltrona nel bel mezzo del nulla
stanco….
Sognando dentro tasche altrui
Non sono più sicuro di appartenere a queste mura
a dipingermi su materassi morbidi di prati di cemento
a lanciarmi come un sasso su questi piani irregolari che offrono al tempio il suo destino
Non sento più l’odore del bosco dietro casa
la scena ultima di un tormento che cammina sulle mani
la vertigine di un secolo di storia marcita tra le mani dei signori benvestiti
Lasciami entrare… ora che sono bagnato di stelle comete
Sono carino e non ho tempo da buttare nel dimenticarsi il domani
Sono dolce come quando i tempi si ricordano di passare
Sono…. sono…
Sono tutto questo di nulla che accade
la metamorfosi di un decennio di scherzi atroci
la fureria di un campo improvvisato
dimenticato acceso da fiamme fredde
Ergersi per non proliferare ricordi pavidi
calde ciocche di capelli ormai sbiaditi
fasci di latrati che percorrono le vene del tempo
mentre qui trema tutto anche le mie preghiere in dissolvenza
qualcosa ci creò per renderci conto
e spendiamo la vita a cercar un senso mistico
dietro a tendine colorate
per abbellire il tempo
ecco dove ci fermiamo
appena prima di partire
Quando lei venne
rimasero ad attenderla per giorni sotto la pioggia
e prima non avevano scopo
se non rivoltarsi come maiali nei ricordi
Mi chiamerai dicendomi che sono carina?
lo farai senza avermi sfiorato le guance?
non sapevano rispondere a tutto questo
la lasciarono fare sul suo corpo umido di benzina
acre follia che si stagliava nei meandri di un giornale di annunci economici
Scusi? Lei si è mai amato?
Non rispose nessuno,
tutti a vociare di attimi di felicità passati
ma in altri momenti?
Nessuno ricordava di una vita tra l’esser felice e l’adesso
L’ho sognato tutto questo?
Oppure è accaduto realmente nel frattempo di uno sbadiglio?
Anche il vento scende in guerra
E sono i cadaveri dei ricordi a risorgere
quando inizi a camminare sull’orlo di una vecchia gonna scucita
laceranti attese in fila per raccogliere amori da mercato nero
E’ la guerra dei propri giorni
che si combatte da codardi senza viso
Nascondendosi nelle rovine di case che avremmo dovuto ricostruire
stando bene attenti al coprifuoco dei desideri
Si muore solo da vecchi perchè si è stufi di vivere
e fin troppi vecchi adolescenti si vedono ai lati di un sogno alterato.
Chi sarà stato il mandante di queste guerre
Siamo signori della guerra impazziti
che attendono in una sala di sudari capovolti
lascia che sia la polvere a coprire i miei occhi
dice il savio
Lascia che la polvere scorra da un cielo antico
dice l’ubriaco
Sui muri del giorno dopo
troveremo scritte che inneggiano la libertà
e manderemo squadre della morte a catturare
qualcosa che vorrebbe il ritorno dei nostri sorrisi
quelli veri
quelli che salgono a scuotere la mente
fogli strappati in balia dei venti che soffiano da nessuna origine
torneremo con meno presunzione a quella falsa partenza
Invocando aiuto senza vederci con la mano tesa
Questa guerra inizia nel momento stesso in cui ci facciamo caso
contemplandoci al contrario
annaffosamente pensanti
complicati senza utilità
Questa guerrà è la vergogna dei molti
la morte degli assoluti
la furia del non esserci stati
giudicati da un bambino che ci chiede:
<perchè dovete farlo?>
Il mio divin peccatore
Ho il letto invaso da biscotti della fortuna che dicono: “accadrà”
preveggenza di un folle arbitrio
tra il cuscino e la folla di nani da giardino che affollano i miei sogni
E’ un percorso obbligato
filosofie spicce per non pagar dazio al giorno che nasce
dama di picche
regina di cuori
asso e fante
una mano perdente per un bluff ben congegnato
meccaniche intrise di profumi di oriente
marionette scaltre
risorte da un bosco in serata
Da questi alberi abbiamo estratto il nostro seme
ed abbiamo fatto nascere piccoli campanelli di follia acuta
predominanza di essere e dispiacere
palafitte oblique che si protraggono verso capolavori di infinito delimitato
abbiamo bisogno di far spea
abbiamo il frigo semivuoto
ci rimangon solo scatolette di voli pindarici
senza strumenti per aprirli
dobbiamo trovar una soluzione
questa casa puzza di vissuto
imbianchiamo le pareti con colori a sbalzo
affondiamo le dita dentro a muri di celeste forzato
incatenato alla scena madre di una vergine che declina
armiamoci di pazienza e incendiamo la mobilia che chiunque ha toccato
riprendiamoci il nostro spazio immacolato
torniamo al centro della stanza
e lasciamo versare fiele sulle catene del cuore
sul sangue che pompa
sulle colline in fiamme dei nostri futuri disegnati a pastello
Questi boschi in tensione riprendono fiato
ad ogni nostro evadere
nelmomento stesso che li lasciamo apaprentemente puliti
siamo la lordura del non concetto
la personificazione del non divenire
tra una forma astratta e la forma semplice
abbiamo età boschive
alcuni età di cemento
rugosi davanti al senno
e tutti in sacra fila barcamenandoci tra un martirio all’altro
fino ad assolverci temendo il paradiso
Vivetevi la morte che state crescendo
potrebbe risultare l’unica vostra amante
nei giorni della redenzion forzata
L’orologiaio pazzo
Sono le lancette di questo seminterrato
che mi ricordano di respirare ogni volta
tic tac
secondi scanditi dal vociare inondato
tic tac
rincorrersi senza voltarsi girando in eterno sulla ruota dei criceti
tic tac
scorrono le passioni e con esse il sorriso
tic tac
costruisco il tempo
ne assaggio la violenza
tic tac
e i volti sbiadiscono
le foto scompaiono
solo i quadri restano
ma sono feroci sconosciuti
tic tac
la polvere ricopre i minuti
e ogni giorno qualcuno la toglie
per allontanare la morte
tic tac
ma la morte senza tempo potrebbe invitarci al suo ballo in maschera?
tic tac
passano le grandi parole
rimangono solo echi capovolti
tic tac
ti ricorderai di comprare il pane?
tic tac
ti ricorderai il nostro primo bacio?
tic tac
Se potessi fermare il tempo con cosa lo colmeresti?
tic tac
se cambiassi sorriso mi riconosceresti?
tic tac
giochiamo a spingerci in avanti?
tic tac
ingranaggi e sangue
sono gli uomini di buona volontà
sono caffettiere di buon sale
mattinate in penombra per risvegli dormienti
tic tac…tic tac…
E l’orologiaio senza volto prese a invertire i ricordi del suo tempo
plasmò la cicatrice di dio e ne rimase follemente sedotto
tac tic
e tutto torna indietro
tac tic
alle stesse scelte cosa risponderai ora?
tac tic
queste lancette sono pugnali
tac tic
incontrerai le stesse persone?
gli sfuggirai ancora?
tac tic
il tuo amore sarà di un altro o rimarrà tuo?
tac tic
indietro fino a quando nacque dio
tac tic
noi non esisteremo mai più
noi siamo un sogno improvvisato
tac tic
l’orologio al contrario continua a fermarsi correndo
tac tic
Il nulla.. ecco la risposta su cui i miei piedi poggiano
tac tic…
Non è mai esistito l’orologiaio pazzo…
tac tic… tac tic… tac tic…..
Fino a incontrare chi ha sognato dio creandolo
L’odore del Dottore
Ti insegnerò a pensarti uomo
cosicchè non dovrai imparare ciò che gli altri vogliono scopir dentro il tuo libero arbitrio…
Ho una vetrata che scorre su questi rosoni inventati da altri
piccoli impercettibili pezzi di malevolenza
che si affrescano come novizie nella prima notte di nozze…
Pretendo lo ius primae noctis delle mie idee
le sensazioni qualunquiste di ogni strale scagliato
colpire l’uomo dovunque egli respiri a malapena
Scivolando su terreni aridi
dove un suicida promette indovinelli per non mollare la presa
Forse amerei di più esser pagina di un libro
farmi annusare le spalle coperte
le felicitazioni di una sposa insultata
dove il riso è solo lo sforzo per colpirla
Anime da lap dance
è quello che rimane di un sensore di movimento
un pezzo di anima opaca
lasciato per terra
calpestato da una miriade di figli stanchi
E tutto diventa musica
in un caotico silenzio
in una scatola senza bordi
solo altezze
La tua baldanza diventa una farsa
persa in lenzuola sporche di sogni troppo giovani
venduti in ogni angolo di follia
che i nuovi muratori costruiscono al posto delle case
muri di cenere per sporcar le passioni
solo morti trasudate
Avremo solo tre giorni prima di pentirci
dopodichè risorgeremo
pensandoci santi
Ti insegnerò a pensarti Uomo
Ti insegnerò a pensarti uomo
cosicchè non dovrai imparare ciò che gli altri vogliono scopir dentro il tuo libero arbitrio…
Ho una vetrata che scorre su questi rosoni inventati da altri
piccoli impercettibili pezzi di malevolenza
che si affrescano come novizie nella prima notte di nozze…
Pretendo lo ius primae noctis delle mie idee
le sensazioni qualunquiste di ogni strale scagliato
colpire l’uomo dovunque egli respiri a malapena
Scivolando su terreni aridi
dove un suicida promette indovinelli per non mollare la presa
Forse amerei di più esser pagina di un libro
farmi annusare le spalle coperte
le felicitazioni di una sposa insultata
dove il riso è solo lo sforzo per colpirla
Anime da lap dance
è quello che rimane di un sensore di movimento
un pezzo di anima opaca
lasciato per terra
calpestato da una miriade di figli stanchi
E tutto diventa musica
in un caotico silenzio
in una scatola senza bordi
solo altezze
La tua baldanza diventa una farsa
persa in lenzuola sporche di sogni troppo giovani
venduti in ogni angolo di follia
che i nuovi muratori costruiscono al posto delle case
muri di cenere per sporcar le passioni
solo morti trasudate
Avremo solo tre giorni prima di pentirci
dopodichè risorgeremo
pensandoci santi
Alla cena dei prossimi no
Giro e rigiro dentro un vago rumore
toccando pareti di gomma viva
sentendo pochi passi urlare dietro quei sospiri
Mi dirigo insicuro alla cena dei prossimi no
evitando i passi altrui
le mattonelle a sfera obbligata
la confusione di una voce
e gli sguardi che non si vedono se non attraverso
Il fischio assume una forma
uniforme violacea dal troppo affogare nel letto dei buoni propositi
anche i satiri di cartapesta non sorridono volentieri
già troppe ninfe si sono giocate la veste per un pò di plastica inalata
Eppure tra tutti questi frammenti di volontà
si scorgono piccoli gnomi saggi
che scivolano tra le parole cadute ai passi
puzzano di vino scadente e morsi ai sentimenti
sono bambole di porcellana e pezza scolorita
fieri di essere invisibili
sono sicuro ricorderebbero il fallimento a dio
se avesse il coraggio di incontrarli
ma forse non si ubriaca da queste parti
Bevo il mio caffè
spiandoli di traverso
facendo finta di non vederli
guai al mio senno se scoprissero che li vedo
sparirebbero
divorerebbero il mondo fino a farlo esplodere di sporchi colori
Finisco il mio caffè…
E dimentico di aver visto l’invisibile
Anche i quadri hanno la loro morte
Se il sole potesse accorgersi di quello che nasce ogni volta che mi ama
Non è un parto diretto
non è una sensazione obliqua
è sentrirsi scivolare nel colore dal pennello
Così son nato
nella caccia del pittore che ha ferocemente amato
una muta di cani che salgono dai sensi di un figlio illeggittimo
lasciato in quegli angoli che solo dimenticati dei hanno urlato fino a rendersi schiavi
Il tempo è nato dentro ogni singolo feroce “possibile”
isterico nell’esser stoico
accettando la paura di non comprenderlo
di non fermarlo
rendendolo schiavo al suo finire
E se dimenticassi come si parla a se stessi?
Potrei riconoscermi poi?
Potrei riuscire ad amare la tela
fino a far nascere ancora i fantasmi di ciò che rubo?
Non ho sete con cui avvolgere il mio parto
androgino della creazione
che tutto compone fuorchè armonie imperfette
Non basta un colore
servono mille sfumature per farne un dio
Quando l’amplesso nella mia anima tocca la tela
tutto diviene vita oltre la voce di chi non urla
E vive!
Ora vive!
Si anima di incatenate schiere di formiche danzatrici
corrono su paradisi liquidi
colando da giare di intenti
Ti ho appena donato la vita
quella che rimane rappresa senza soffocarsi
Arabeschi osannati senza imposizioni delle mani
sacerdoti senza formule silenti
Tutti arrotini di una farsa
che io ora rendo reale
Dove i tuoi sguardi sono gli sguardi che loro non avranno più
Li ho rubati appena prima di morirne dipingendoli
Ora vai e vivi
lascia i tuoi vecchi sogni
dimentica le tue piccole orge di dubbi
Poichè arriverai a morire anche tu
che ti nascondi nella tela
Preghiere naufraghe
Io nacqui dallo sciabordio di una preghiera naufragata
Dai sussurri delle solitudini di un moribondo
su un campo di battaglia
Dalle preghiere di un santo sconosciuto
Sono cresciuto tra le geometrie senza confini
Nelle fattorie dei dittatori sempre troppo piccoli per arrivare al cielo
Ho imparato a sciogliere piccoli nodi di filo spinato usato.
Tutto questo ancora non basta
Non si diventa possibili buchi neri
Senza aver dilaniato ogni piccola promessa che ti farò
Ardere le intenzioni dentro bracieri che vestono leggero
troppo fragili da non spezzarsi ad ogni alba
che ancora
rimaniamo a guardare diversamente
Toccare senza desiderarti vita
sarebbe la più scenica delle mie bugie
E avrei fiori secchi per ornare le tue tempie
foglie ingiallite dal sognarvi sopra
per vestirti ad un galà di prose di marmo
Mentre un arco ed un tamburo
distolgono lo sguardo dal nostro camminare scalzi
su di un prato di pece morbida
Ed ancora non sarei soddisfatto
Non potrei togliere le mani dai miei occhi
troppa luce che devasta il cuore di chi sente i minuti
Ti cercherei ogni volta che sorrido ai miei perchè…
Ora torna a far finta di dormire…
Mirando al sole senza colpire il cielo
Preciso nel tender l’anima
Col volo frenato del mio voler colpire
quei soli che incendiano il mio dover esser felice
Siamo legno che arde senza freddo
Siamo pelle che avvolge la notte dei ricordi
Ma cosa rimane di me ora?
La tensione diventa un eclissi di pensieri
La freccia riduce l’amar questi nervi
Che ancora urlano pregando di lasciarli andare
Senti questo legno!
Bacia la mia imperfetta voglia di scoccarmi
La follia dell’attimo
Mira superba
Bersaglio fantasma
Ma così presente e così carnefice
Il mio vedere mira oltre il paradiso promesso
vede le stalle degli dei
dove schiavi ben vestiti si divertono a far nulla
Il mio sguardo mira oltre….
Ben oltre le parole che bruciano le albe a venire
Vorrei solo traffigere
ogni desiderio che arranca spezzato nei cieli a me troppo vicini
colpirli e immolarli alle passioni che sento e vivo nascosto nel mio unico mirare
Ora che il mio respiro è diventato un tamburo senza lacrime
Mirerò ai rimorsi senza averne
Mandando finalmente in pezzi
le vetrate di un paradiso a portata di mano
Scrivere…
Scrivere è fissare una pagina bianca come se guardassimo uno stagno pieno di pesci…. rimaniamo come orsi goffi e viventi a scegliere quali sono le parole- pesci da catturare per sfamarci… rendendoci così agili alla nostra fantasia
Karia JB
La morte
La morte ha diversi abiti con cui partecipare a concerti rumorosi.. ma l’uomo si concretizza solo al momento in cui ha perso la capacità di vivere…. troppe morti sono passate inutilmente…
L’Ipotesi Dante
Dante avrebbe preferito non rispondere
ubriacandosi di pane e sale fino ad aver sete infinita
rovesciarsi sulla schiena e mettere fronde all’asino
che veder riscossa inerme dell’italica gente
volgari malfattori che infin diverran pula
sommersi dai vermi dell’ipocrisia che si faran gloria
Dante avrebbe preferito lasciar un conto enorme
da pagar al bar di fronte
invitar virgilio e tutti i suoi fantasmi
per scappar sotto le finestre di una beatrice ormai scontata
“Apri sudicia donna!”
grida biascicando inutili persuasioni alcoliche
Una finestra s’apre
s’affaccia Beatrice
trucco pesante
stanca dal troppo amor donato
“Nessun sconto alla tua giovin vita mio Dante”
Da sotto
Naso adunco bestemmia alle selve
e se ne va in cerca di altri bar a cui inventar da bere
svendendo l’Italica becera orgogliosa sconfitta
Vivi con cautela
Regredire fino a diventar poco più di tutto
e’ un ipotesi reale di un icaro senza ali
scenografie semidistrutte
sopra un palco che fino a ieri viveva
Le macerie di un saluto
che ripercorrono senza fretta le stanze di uno stesso forse
Vivi con cautela fino a che puoi mistificare le tue azioni
le tue speranze di paternità assolute
Sono pochi mazzi di chiavi lasciati a riempire vuoti
sul davanzale di una casa senza uscite
Pochi passi
piccoli passi
inerti passi
Ma quando si arriverà ad aprire quella porta?
Vivi con cautela ogni secondo di attimi immobili
ogni gesto compare sulla scia di un volto
una corsa per divenire nulla
braccia appese in un sabba ingrato
sacrifici da scartare come regali di natale
Ed è pasqua
ma fuori piove
tutto assume un solo colore
tempera d’acciaio
per cieli a cui hanno dimenticato di metterci la firma
non sapremo mai chi ne è stato l’autore
ne mai chi ne ha strappato le forme
Vivi con cautela e ancora non ti accorgi di domani
riposa ora
senza pensare che sia una nuova scusa
ti accorgerai senza ferirti troppo
che nessuna spiaggia ha accolto il tuo naufragio
Stato dell’Arte
Noi proclamiamo lo stato dell’arte
la conseguenza storica e vitale di una rinascita dell’esser umano.
Contestiamo la dubbia moralità del fare arte, arte di viver e arte come espressione.
Per questo Noi liberi pensatori abbiamo deciso di conquistare spazi virtuali eppure reali, che si stagliano lungo le pareti di una nazione esistente. Conquistiamo non le terre, in quanto non definiamo confini politici ma confini di interesse, volontà e virtuosismi artistici,ma le volontà.
Lo stato dell’arte nasce dalla speranza che vuole arrivare a termine, a riscatto di chi è scomodo in un esser ambigui senza sfociare nel nulla delle pulsioni.
Arte intesa come arte di vivere, arte dei valori, arte dell’espressione. Non puntiamo alle intenzioni, ma ai risultati delle azioni e delle propagazioni.
La Legge nostra è un calvario di sogni e desideri, che ci portano ad aggregarci nel bene ultimo di una libertà espressiva. Scevra da falsità anche impercettibili, da ipocrisie nullafacenti, da politiche poco suadenti. Siamo la negazione del non vivere. La negazione dei sorrisi mascherati.
Qui si campa di poche e schiette parole.
Lo Stato dell’Arte è identificazione del non aver confini reali e irreali. Per questo è una nazione virtuale… raggiunge correndo dallo zenith al nadir e ritorna dietro le quinte per ripercorrere in tutta fretta lo spazio inespanso.
Chiunque abbia necessità di risolversi, di risollevarsi, di riscattarsi dalla schiavitù a se stessi.
Chiunque voglia guardare negli occhi un mondo e non spiarlo di traverso.
Chiunque potrà chiedere la nazionalità, chiunque abbia un valore unico di far arte la propria vita..
Una volta accettata la richiesta verrà consegnata cittadinanza e passaporto… nella lingua parlata dal richiedente.
Siamo pronti al rinascimento dell’uomo… al risorgimento del’intenzione e del valor di vivere
Lo faremo come espressione di ogni nostra parola
ogni nostra azione
ogni nostra ideazione
Libertà di rispettare le leggi delle nazioni che ci ospitano
ma ribellione alla morte di chi vive abbozzando i giorni senza mai finirne il dipinto.
Questo lo Stato dell’Arte
Nato in Urbisaglia
Baci di Fuoco
Il frammento più grosso che nascondo nel dito
è l’epopea di mari in tempesta che bagnano le parole
scintille apostrofate da marinai di legno marcio
Ecco come appare l’esser bruciati vivi
in un eterno nulla di fatto
Eravamo tutte a pregar di non soffrire un altro giorno
quando il sole ci ha negato il sorriso
Non si arde nel fuoco
ma in mari in tempesta di fuliggine come spade
La sensazione di prendersi attimi di vita
respirandoli con catrame e melassa
Anche lei
lei che era al mio fianco
che ho disprezzato
che ho allontanato
Ora brucia insieme alle parole non dette
a quelle feroci epilessie che noi chiamiamo sogni
Siamo tutte su questo ponte di una nave che brucia d’acqua
Cercando di scappare dall’occhio di dio
E’ il perdono che ci incute timore
non la condanna
Per quella possiamo usare il nostro dialetto lontano
Il capitano non c’è
è scomparso nel suo cimitero di paure d’acqua infuocata
Ricordateci così come desideri in fiamme che volevano respirare aria pulita
Sogni di madri affogate in poche mura di una nave chiamata vita
<Dedicato alle Donne del Triangle – ma anche a tutte quelle che sono sparite per aver voluto viviere>
Il nostro caro fetente
Un giorno di festa per i fetenti,
poichè lo siamo
Emaniamo sgradevoli odori
fuoriescono dalle nostre portate di parole
Che sia poesia
che sia un ciao
ha un odore sgradevole
un suono meticcio
Siate fetenti e contenti
Dite ciò che è sgradevole a chi non vuol ragion alcuna
Siate contenti di esserlo
che l’odore emanato sia di vago mondo lontano
siamo fententi e contenti
Ogni lettera pensata e aggiunta come pennellata di pittrici in ombra
Siamo sgradevoli ogni volta che diciamo la verità
emaniamo odori non salubri
ogni volta che trasudiamo ciò che vediamo
e che ci lascia in terrai con serpenti in attesa
Quegli stessi fetenti che si portano a discutere del mare
senza farsi bagnare
Non abbiate paura di puzzare di poesia
di tradire il precedente mondo di prima d’ora
Nessun universo tiene cura di voi
Caria Giovanni B.
Proclama per la giornata nazionale del fetente (Domenica 16 Gennaio Anno Domini Non pervenuto 2011)
Vivisezione
Lo guardai come si fa con i primogeniti altrui
quegli occhi tristi di pane e burro
le mani legate dietro la nuca
le gambe raccolte a ricordarsi venti e più favole
piangeva senza ritegno
la paura si fondeva con il nero del pavimento autoctono
era tutto pronto appena prima di festeggiare il problema di sempre
La suora in latex viola puliva le cicatrici con cui avrei operato
un enorme insegna al neon con su scritto “applausi”
ricordava al pubblico pagante come comportarsi prima di inorridirsi
<Ho fame> disse la vittima
tra un sorriso e un urlare intermittente
era indecisa se provocare panico o pietà
Inarcava le ciglia del suo volente piacere
diventava stesso peccato di quanti non avrebbero assistito
E mentre la musichetta dei jingle spronava la felicità
nelle famiglie a tavola
i riflettori incutevano il timore di reverenza ai piaceri del misfatto
La famiglia attendeva l’esecuzione in sacro silenzio
senza toccar il cibo sponsorizzato da cerberi incalliti
Il crocifisso appeso al muro ripensava alle ben più solitarie preghiere di una volta
mentre sistema la fascia di reginetto dell’illusione
Genuflettersi per collaborare gridava il regista
poneva la stanza in anteprima sui confessionali aperti al mondo
E gli applausi di incoraggiamento stendevano mani di velluto
sopra il corpo martoriato della vittima felice di esserlo
Ti renderanno il dolore dei canali a pagamento
sarai martirizzato dal non aver rinnovato l’abbonamento per vedere le partite
Alla vittima aggiustano il trucco
il regista castra la solidarietà con un “più audience!”
mentre sono solo le cavie del grande fratello a scriver testi scientifici in voga universitaria
La valletta insudiciata di lustrini usati
entra sorridendo al dolore che gli è costato il nulla
si avvicina al corpo di colui che verrà introdotto alla morte
Siamo puttane dai denti bianchi
idolatrati da prodotti di beneficenza ai posteri
Siamo paladini del bene perfetto visto solo in una telecamera
L’occhio della gente ha i suoi minuti di spot pubblicitari
sensazioni di consueta maturità televisiva
Ora accompagnata da corpi nudi la vittima viene issata sulla croce alla moda
ed è un martellante applauso di solitudine che la accoglie al martirio
Benvenuti al sacro e profano immolare
vivisezione degli intenti
scatole vuote da riempire di buoni sconto
pomeriggi domenicali a intagliare cataloghi di premi
telefoni irriverenti per rispondere alle domande dei sorridenti nuovi dei
E la vittima sorride
truccata da provino felice
triste poichè non apparirà nella replica del sabato
ma ci saranno madri pronte a prostituire i giochi delle proprie figlie
perchè possano sorridere in tv
Siamo maldicenze sussurrate in segreto davanti a milioni di interessati incoscienti
Ed ora lasciate che lo spettatore sia vivisezionato
l’ultimo spettacolo di un desiderio mai espresso
ma che la gente vuole
desidera
smania di morte in diretta
Se dio potesse
La cera cola dalle parole
che salgono alla volta di questa chiesa in ombra
Una fila di peccati che risplende dal loggione
In fondo i demoni dell’uomo invocano il perdono
degli altrui peccati
E scende l’agnus dei
incoronato da spezie e affamati penitenti
Che ne lacerano le carni insaziabili
Cibatevi del sacro sigillo
Avrà perdono dei suoi peccati?
Chi darà in pasto il corpo del martire?
E’ un continuo straziarne le carni
vesti pulite per un cannibalismo perenne
E cade dall’est del mondo
una treno di ferro di peccati non comuni
Siamo deportati del dogma umano
Gli araldi del dio delle immagini
Oggi si va in processione
ricordando che abbiamo ucciso chi assaporiamo come dio
Il ricatto dell’uomo
Dacci oggi il ricatto quotidiano
o bruceremo le tue effigi
Santa Maria grazia plena
Per un obolo bucato
inventeremo il tuo rosario
E sarà tutta la nostra corruzione
tutta la nostra volontà perversa
Latinizzate per non far pensare il volgo
ius primae noctis di periferia
dove i conti sono quelli innalzati dalla folla tagliente
Innalziamo le staute a farne vessillo
L’uomo dio sull’uomo folla
Se dio potesse riderene sareste sommersi
Se dio potesse amarvi
vi eliminerebbe
Se dio potesse perdonarvi
Ucciderebbe tutti i vostri sogni
E’ una preghiera di se dio potesse…
Appena prima di crocifiggerne un altro
Se lei potesse
Dove sono andati a sospirare quei momenti?
Un presepe senza mura di ferro a dimenticarlo
E’ un momento senza scatti
Ogni cosa ha la sua esatta movenza
Scene di caccia sui muri di un tavolino
Un bar in ombra mentre fuori il sole è cacciatore
Viola il tuo nome e avrai la mia risposta
Dove sono andati a morire i ricordi di ieri?
Oggi non hanno più forma
Si sono arresi al mio divenire sempre più incoerente
Una carezza sopra un polverone di parole
inutili
Lei si aspettava la vita immaginata
ma non ha mai preso parte ad essa
Lei immaginava la crocifissione del tempo
Il martire della follia
Lei ha ucciso i suoi dei
Li ha sepolti nei deserti dei suoi occhi
Lei non sa più amare senza paure
Lei non è
Per questo non hai più figli da generare
La paura del tuo attimo
è la condanna delle foche ammaestrate
il giudizio estremo di un mondo distante
Dove le parole hanno saputo trovar posto
sedersi
e addormentarsi senza sogni
Lei si sveglia e il sole si nasconde al suo sorriso
Negata dalla vita a dimenticarsi le presunzioni
La perfezione di un nulla
schiavitù che urla tra le sbarre
Eppure non le vedi…
Sei da sempre schiava di una gabbia aperta e in rovina
Ora il tempo si nasconde alle poche parole che ancora ripeti
Manichino dei sentimenti
manovrato dalle paure
Mi dispiace
Sono un passo oltre il tuo sguardo
Lascerò qualcosa a tutti
Ho lasciato detto che alla mia morte
il mio corpo sia donato ai miei nemici
Così avranno la loro vendetta
potranno finalmente vincere
In vita non avrebbero mai potuto farlo
l’anima è forte
la scelta di vivere troppo bruciante
Per questo gli dono un corpo vuoto
io sarò andato oltre
E loro potranno sentirsi dei
Anche per te che hai lasciato pochi stracci nel mio senso
Cosa ti potrei mai lasciare?
I drappi ricuciti di parole mai state dette così bene
Le scelte di camminare sopra lastre si ghiaccio scuro
diventare mia stessa madre e padre
bagnarmi alle fronti di statue nascoste
Sono un semplice desiderio
Spero di esserci ogni volte che morirò
O forse sarò distante da me stesso
talmente preso a colorar con le dita
queste scene in bianco e nero
Ed ora ci sono figli che non sanno riempire gli spazi vuoti
le case di un sottobosco umido
Improvvisarsi dignitosi mercenari
ed una volta l’armatura riscoprirsi feriti
Dove si sono nascoste le nostre parole?
Dove abbiamo lasciato i piccoli perversi passi fatti
per avvicinare i nostri desideri?
Sono orme nel bosco
o sopra asfalti incoerenti?
Lasciati lì
su quel piano levigato
Scivolerai ancora una volta dai miei ricordi
Lascerò qualcosa a tutti…
ma senza dimenticarmi
di portar con me
il mio sorriso e la mia rabbia