La vecchia cinese pazza

La vecchia cinese pazza
Cammina tra locuste senza ali
Con il suo unico occhio di voci
Si racconta esorcismi disegnati
Diventa paglia al sole
Sacrificio traballante sopra il senso comune
Io aspetto
Sono eoni che lo faccio
Nel mentre mi leggo i passi
Li faccio scivolare nel più assurdo vortice
Mi impegno come un redentore sfiduciato
Mentre la vecchia cinese pazza
Se ne frega
E mi chiede soldi
Il suo dio è una medaglia senza testa ne croce
Imprecando affoga tra le locuste
Assicurandosi un paradiso di stracci sporchi

La cecità del tatto

Insonne svegli carnalita’ offese
Cercando nel buio
Processioni di prostitute mai redente
Ti domandi prima dell’ indifferenza
Come sia il star nel ventre di un feroce mattino oscuro
Il confine supera la visione
Si sveste di ipocrisia lacrimata
E torna a dormirti al fianco
Senza disturbare

Rimango aldifuori di questa scena
Diventando regista unico
Delle dita che navigano le lenzuola
Immacolati e ciechi segugi del desiderio
Il nostro tatto si purifica nel tocco
Di quante ombre immaginate
Non abbiamo mai raggiunto
Malgrado le avessimo amate

Mira barattando le doti

E si immola lanciandosi nel vuoto

con ali di acciaio scintillante

artigli per ogni dito

che sommergono le fantasie che a malapena nasconde

Si erge come un fantoccio sopra le rovine di un circo informe

arrancando sensuale all’ultima dimora che ricordo

Ogni maledetto colpo lanciato contro quella ruota che gira

sempre più vorticosamente in se stessa

ed io miro sempre più concentrata

fino a voler colpire l’attimo esatto in cui tutte le mie domande avranno una risposta

diversa da quelle sbialnciate che evito ad ogni secolo

Baratto doti con pezzi di mosaici affilati

ed ogni giorno perdo qualche brandello di ieri

Ti vedo

mentre scansi lacrime da questo cielo come pioggia

che tu camminando tranquillo accetti ma non ti lasci bagnare

Fantocci appesi per la coda

allenati da furori che ora non ricordo

Ogni mia lama è un ricordo

un qualcosa di impreciso sull’orlo del dimenticare

non importa più se sono stati buoni o cattivi

sono solo coltelli da lanciare…

Il sagrato d’ametista

Chissà che si dice la gente quando cammina per strada e si guarda in giro

con quegli occhi che cercano scommesse per la giornata,

qualcosa che vada ben oltre ai minuti che gocciolano senza capolavori di fantasia

come se scendessero da una lama di un assassino sconosciuto e accettato da tutti

Chissà cosa pensa la donna che cammina davanti a me

divincolata tra vestiti troppo stretti per rendersi comoda

assomiglia ad un attrice al finire della carriera

troppo cerone sui sogni

troppe scarpe rotte da nascondere nel camminare

e ci si veste per impersonare desideri dozzinali

copiare lampare spente che fanno brillare aldilà di una scatola rumorosa

la sera ci svestiamo di quella troppa polvere che ha appassito i nostri figli lacrimati

e torniamo a indossare maglie lunghe fino a coprire la vergogna di non stupirci di più.

Chissà che paure hanno quegli occhi spenti che guardano dritti senza vedere

quei figli incompresi con il profumo di una galilea affondata

un arca spezzata prima del diluvio delle proprie beltà

Il banditore si è fermato appena prima di quello spiazzo

polveroso ma vuoto

eppure riempito di ogni occhiata di questa povera e splendida gente

ogni foglia che cammina su queste strade di velluto in fiamme

E’ una corsa a chi arriva prima in un luogo senza fretta

la mortalità del respirare a lungo e bene

masticare senza fondo

non aver più opere da comporre cantandosi addosso

E anche queste parole

non vogliono smettere

ci ho provato

eccome se ci ho provato

ma alla parola fine

urlavano

“ancora molt incubi da smaltire”

Non posso che continuare a esserne schiavo

Cosa ha pensato la madre che trascinava la figlia di qualcuno?

la piccola fiammiferaia vestita di tutto punto

con sandali sporchi di desideri

Il lupo cattivo di fiabe al contrario

dove i buoni hanno vinto la pace eterna

e i cattivi sono ancora li fermi a schernire i buoni propositi

A chi interessa cosa guarda la gente?

Se non a pensare: <guarda forse me?>

Siamo un verme lungo un mondo

egoista e senza interesse se non per interesse

Chissà cosa guarda la gente sul sagrato d’ametista

Stanco nel bel mezzo di nulla

Stanco di promettermi maree di petali blu

riposante invece di ottener pace

spingo il collo e poi la testa

lascio scivolare le mani sulle guance

scendono senza volontà dalle sopracciglia

sono pianure contorte

ogni muscolo ha corso per mille battiti d’espressioni

curvando per non sbandare a improvvisi sorrisi cesellati

E’ la terra della veglia

maledetta e feroce veglia che si ostina a parlarmi urlante

mentre vorrei colare da queste quattro gambe

Venite a stento stupidi efori

giudicate il re di chi mi tiene sveglio

rincuorate i gesti sottili di questo sbatter le palpebre come se fossero lame piegate

sono stanco e voglio riposare

in mezzo a questo ocenao di voci narranti

storie di dei rovesciati dalle giare di puro soffio al fiele

Stanco… le dita scivolano sulle parole

quando invece avrebbero bisogno di esser inchiodate ad assi di legno di cedro

io ti sottointendo

ti scivolo sconfitto dalla gravità di questo corpo espanso oltre il limite

sentirsi qui ed allo stesso tempo ovunque, aldifuori

è geometria sbagliata dove il sopra corrisponde al lato in diagonale di nessuna forma

alla fine è un letto a molle dimenticato in mezzo alla stanza

un prologo per un fachiro troppo stanco per ingannare

sono stanco e voi non lo sapete

sono a malapena in piedi e nemmeno mi porgete l’altra guancia

siete egoisti

piccoli calamari danzanti ed egoisti

siete voci narranti fuori campo

che mi arrivano alle orecchie quando mancano vacche sacre a scacciarvi con la coda

folletti blu e gobbi

niente di così splendido intorno a questa poltrona nel bel mezzo del nulla

stanco….

Sognando dentro tasche altrui

Non sono più sicuro di appartenere a queste mura

a dipingermi su materassi morbidi di prati di cemento

a lanciarmi come un sasso su questi piani irregolari che offrono al tempio il suo destino

Non sento più l’odore del bosco dietro casa

la scena ultima di un tormento che cammina sulle mani

la vertigine di un secolo di storia marcita tra le mani dei signori benvestiti

Lasciami entrare… ora che sono bagnato di stelle comete

Sono carino e non ho tempo da buttare nel dimenticarsi il domani

Sono dolce come quando i tempi si ricordano di passare

Sono…. sono…

Sono tutto questo di nulla che accade

la metamorfosi di un decennio di scherzi atroci

la fureria di un campo improvvisato

dimenticato acceso da fiamme fredde

Ergersi per non proliferare ricordi pavidi

calde ciocche di capelli ormai sbiaditi

fasci di latrati che percorrono le vene del tempo

mentre qui trema tutto anche le mie preghiere in dissolvenza

qualcosa ci creò per renderci conto

e spendiamo la vita a cercar un senso mistico

dietro a tendine colorate

per abbellire il tempo

ecco dove ci fermiamo

appena prima di partire

Quando lei venne

rimasero ad attenderla per giorni sotto la pioggia

e prima non avevano scopo

se non rivoltarsi come maiali nei ricordi

Mi chiamerai dicendomi che sono carina?

lo farai senza avermi sfiorato le guance?

non sapevano rispondere a tutto questo

la lasciarono fare sul suo corpo umido di benzina

acre follia che si stagliava nei meandri di un giornale di annunci economici

Scusi? Lei si è mai amato?

Non rispose nessuno,

tutti a vociare di attimi di felicità passati

ma in altri momenti?

Nessuno ricordava di una vita tra l’esser felice e l’adesso

L’ho sognato tutto questo?

Oppure è accaduto realmente nel frattempo di uno sbadiglio?

Anche il vento scende in guerra

E sono i cadaveri dei ricordi a risorgere

quando inizi a camminare sull’orlo di una vecchia gonna scucita

laceranti attese in fila per raccogliere amori da mercato nero

E’ la guerra dei propri giorni

che si combatte da codardi senza viso

Nascondendosi nelle rovine di case che avremmo dovuto ricostruire

stando bene attenti al coprifuoco dei desideri

Si muore solo da vecchi perchè si è stufi di vivere

e fin troppi vecchi adolescenti si vedono ai lati di un sogno alterato.

Chi sarà stato il mandante di queste guerre

Siamo signori della guerra impazziti

che attendono in una sala di sudari capovolti

lascia che sia la polvere a coprire i miei occhi

dice il savio

Lascia che la polvere scorra da un cielo antico

dice l’ubriaco

Sui muri del giorno dopo

troveremo scritte che inneggiano la libertà

e manderemo squadre della morte a catturare

qualcosa che vorrebbe il ritorno dei nostri sorrisi

quelli veri

quelli che salgono a scuotere la mente

fogli strappati in balia dei venti che soffiano da nessuna origine

torneremo con meno presunzione a quella falsa partenza

Invocando aiuto senza vederci con la mano tesa

Questa guerra inizia nel momento stesso in cui ci facciamo caso

contemplandoci al contrario

annaffosamente pensanti

complicati senza utilità

Questa guerrà è la vergogna dei molti

la morte degli assoluti

la furia del non esserci stati

giudicati da un bambino che ci chiede:

<perchè dovete farlo?>

Il mio divin peccatore

Ho il letto invaso da biscotti della fortuna che dicono: “accadrà”

preveggenza di un folle arbitrio

tra il cuscino e la folla di nani da giardino che affollano i miei sogni

E’ un percorso obbligato

filosofie spicce per non pagar dazio al giorno che nasce

dama di picche

regina di cuori

asso e fante

una mano perdente per un bluff ben congegnato

meccaniche intrise di profumi di oriente

marionette scaltre

risorte da un bosco in serata

Da questi alberi abbiamo estratto il nostro seme

ed abbiamo fatto nascere piccoli campanelli di follia acuta

predominanza di essere e dispiacere

palafitte oblique che si protraggono verso capolavori di infinito delimitato

abbiamo bisogno di far spea

abbiamo il frigo semivuoto

ci rimangon solo scatolette di voli pindarici

senza strumenti per aprirli

dobbiamo trovar una soluzione

questa casa puzza di vissuto

imbianchiamo le pareti con colori a sbalzo

affondiamo le dita dentro a muri di celeste forzato

incatenato alla scena madre di una vergine che declina

armiamoci di pazienza e incendiamo la mobilia che chiunque ha toccato

riprendiamoci il nostro spazio immacolato

torniamo al centro della stanza

e lasciamo versare fiele sulle catene del cuore

sul sangue che pompa

sulle colline in fiamme dei nostri futuri disegnati a pastello

Questi boschi in tensione riprendono fiato

ad ogni nostro evadere

nelmomento stesso che li lasciamo apaprentemente puliti

siamo la lordura del non concetto

la personificazione del non divenire

tra una forma astratta e la forma semplice

abbiamo età boschive

alcuni età di cemento

rugosi davanti al senno

e tutti in sacra fila barcamenandoci tra un martirio all’altro

fino ad assolverci temendo il paradiso

Vivetevi la morte che state crescendo

potrebbe risultare l’unica vostra amante

nei giorni della redenzion forzata

L’orologiaio pazzo

Sono le lancette di questo seminterrato

che mi ricordano di respirare ogni volta

tic tac

secondi scanditi dal vociare inondato

tic tac

rincorrersi senza voltarsi girando in eterno sulla ruota dei criceti

tic tac

scorrono le passioni e con esse il sorriso

tic tac

costruisco il tempo

ne assaggio la violenza

tic tac

e i volti sbiadiscono

le foto scompaiono

solo i quadri restano

ma sono feroci sconosciuti

tic tac

la polvere ricopre i minuti

e ogni giorno qualcuno la toglie

per allontanare la morte

tic tac

ma la morte senza tempo potrebbe invitarci al suo ballo in maschera?

tic tac

passano le grandi parole

rimangono solo echi capovolti

tic tac

ti ricorderai di comprare il pane?

tic tac

ti ricorderai il nostro primo bacio?

tic tac

Se potessi fermare il tempo con cosa lo colmeresti?

tic tac

se cambiassi sorriso mi riconosceresti?

tic tac

giochiamo a spingerci in avanti?

tic tac

ingranaggi e sangue

sono gli uomini di buona volontà

sono caffettiere di buon sale

mattinate in penombra per risvegli dormienti

tic tac…tic tac…

E l’orologiaio senza volto prese a invertire i ricordi del suo tempo

plasmò la cicatrice di dio e ne rimase follemente sedotto

tac tic

e tutto torna indietro

tac tic

alle stesse scelte cosa risponderai ora?

tac tic

queste lancette sono pugnali

tac tic

incontrerai le stesse persone?

gli sfuggirai ancora?

tac tic

il tuo amore sarà di un altro o rimarrà tuo?

tac tic

indietro fino a quando nacque dio

tac tic

noi non esisteremo mai più

noi siamo un sogno improvvisato

tac tic

l’orologio al contrario continua a fermarsi correndo

tac tic

Il nulla.. ecco la risposta su cui i miei piedi poggiano

tac tic…

Non è mai esistito l’orologiaio pazzo…

tac tic… tac tic… tac tic…..

Fino a incontrare chi ha sognato dio creandolo

L’odore del Dottore

Ti insegnerò a pensarti uomo

cosicchè non dovrai imparare ciò che gli altri vogliono scopir dentro il tuo libero arbitrio…

Ho una vetrata che scorre su questi rosoni inventati da altri

piccoli impercettibili pezzi di malevolenza

che si affrescano come novizie nella prima notte di nozze…

Pretendo lo ius primae noctis delle mie idee

le sensazioni qualunquiste di ogni strale scagliato

colpire l’uomo dovunque egli respiri a malapena

Scivolando su terreni aridi

dove un suicida promette indovinelli per non mollare la presa

Forse amerei di più esser pagina di un libro

farmi annusare le spalle coperte

le felicitazioni di una sposa insultata

dove il riso è solo lo sforzo per colpirla

Anime da lap dance

è quello che rimane di un sensore di movimento

un pezzo di anima opaca

lasciato per terra

calpestato da una miriade di figli stanchi

E tutto diventa musica

in un caotico silenzio

in una scatola senza bordi

solo altezze

La tua baldanza diventa una farsa

persa in lenzuola sporche di sogni troppo giovani

venduti in ogni angolo di follia

che i nuovi muratori costruiscono al posto delle case

muri di cenere per sporcar le passioni

solo morti trasudate

Avremo solo tre giorni prima di pentirci

dopodichè risorgeremo

pensandoci santi

Ti insegnerò a pensarti Uomo

Ti insegnerò a pensarti uomo

cosicchè non dovrai imparare ciò che gli altri vogliono scopir dentro il tuo libero arbitrio…

Ho una vetrata che scorre su questi rosoni inventati da altri

piccoli impercettibili pezzi di malevolenza

che si affrescano come novizie nella prima notte di nozze…

Pretendo lo ius primae noctis delle mie idee

le sensazioni qualunquiste di ogni strale scagliato

colpire l’uomo dovunque egli respiri a malapena

Scivolando su terreni aridi

dove un suicida promette indovinelli per non mollare la presa

Forse amerei di più esser pagina di un libro

farmi annusare le spalle coperte

le felicitazioni di una sposa insultata

dove il riso è solo lo sforzo per colpirla

Anime da lap dance

è quello che rimane di un sensore di movimento

un pezzo di anima opaca

lasciato per terra

calpestato da una miriade di figli stanchi

E tutto diventa musica

in un caotico silenzio

in una scatola senza bordi

solo altezze

La tua baldanza diventa una farsa

persa in lenzuola sporche di sogni troppo giovani

venduti in ogni angolo di follia

che i nuovi muratori costruiscono al posto delle case

muri di cenere per sporcar le passioni

solo morti trasudate

Avremo solo tre giorni prima di pentirci

dopodichè risorgeremo

pensandoci santi

Alla cena dei prossimi no

Giro e rigiro dentro un vago rumore

toccando pareti di gomma viva

sentendo pochi passi urlare dietro quei sospiri

Mi dirigo insicuro alla cena dei prossimi no

evitando i passi altrui

le mattonelle a sfera obbligata

la confusione di una voce

e gli sguardi che non si vedono se non attraverso

Il fischio assume una forma

uniforme violacea dal troppo affogare nel letto dei buoni propositi

anche i satiri di cartapesta non sorridono volentieri

già troppe ninfe si sono giocate la veste per un pò di plastica inalata

Eppure tra tutti questi frammenti di volontà

si scorgono piccoli gnomi saggi

che scivolano tra le parole cadute ai passi

puzzano di vino scadente e morsi ai sentimenti

sono bambole di porcellana e pezza scolorita

fieri di essere invisibili

sono sicuro ricorderebbero il fallimento a dio

se avesse il coraggio di incontrarli

ma forse non si ubriaca da queste parti

Bevo il mio caffè

spiandoli di traverso

facendo finta di non vederli

guai al mio senno se scoprissero che li vedo

sparirebbero

divorerebbero il mondo fino a farlo esplodere di sporchi colori

Finisco il mio caffè…

E dimentico di aver visto l’invisibile

Anche i quadri hanno la loro morte

Se il sole potesse accorgersi di quello che nasce ogni volta che mi ama

Non è un parto diretto

non è una sensazione obliqua

è sentrirsi scivolare nel colore dal pennello

Così son nato

nella caccia del pittore che ha ferocemente amato

una muta di cani che salgono dai sensi di un figlio illeggittimo

lasciato in quegli angoli che solo dimenticati dei hanno urlato fino a rendersi schiavi

Il tempo è nato dentro ogni singolo feroce “possibile”

isterico nell’esser stoico

accettando la paura di non comprenderlo

di non fermarlo

rendendolo schiavo al suo finire

E se dimenticassi come si parla a se stessi?

Potrei riconoscermi poi?

Potrei riuscire ad amare la tela

fino a far nascere ancora i fantasmi di ciò che rubo?

Non ho sete con cui avvolgere il mio parto

androgino della creazione

che tutto compone fuorchè armonie imperfette

Non basta un colore

servono mille sfumature per farne un dio

Quando l’amplesso nella mia anima tocca la tela

tutto diviene vita oltre la voce di chi non urla

E vive!

Ora vive!

Si anima di incatenate schiere di formiche danzatrici

corrono su paradisi liquidi

colando da giare di intenti

Ti ho appena donato la vita

quella che rimane rappresa senza soffocarsi

Arabeschi osannati senza imposizioni delle mani

sacerdoti senza formule silenti

Tutti arrotini di una farsa

che io ora rendo reale

Dove i tuoi sguardi sono gli sguardi che loro non avranno più

Li ho rubati appena prima di morirne dipingendoli

Ora vai e vivi

lascia i tuoi vecchi sogni

dimentica le tue piccole orge di dubbi

Poichè arriverai a morire anche tu

che ti nascondi nella tela

Preghiere naufraghe

Io nacqui dallo sciabordio di una preghiera naufragata

Dai sussurri delle solitudini di un moribondo

su un campo di battaglia

Dalle preghiere di un santo sconosciuto

Sono cresciuto tra le geometrie senza confini

Nelle fattorie dei dittatori sempre troppo piccoli per arrivare al cielo

Ho imparato a sciogliere piccoli nodi di filo spinato usato.

Tutto questo ancora non basta

Non si diventa possibili buchi neri

Senza aver dilaniato ogni piccola promessa che ti farò

Ardere le intenzioni dentro bracieri che vestono leggero

troppo fragili da non spezzarsi ad ogni alba

che ancora

rimaniamo a guardare diversamente

Toccare senza desiderarti vita

sarebbe la più scenica delle mie bugie

E avrei fiori secchi per ornare le tue tempie

foglie ingiallite dal sognarvi sopra

per vestirti ad un galà di prose di marmo

Mentre un arco ed un tamburo

distolgono lo sguardo dal nostro camminare scalzi

su di un prato di pece morbida

Ed ancora non sarei soddisfatto

Non potrei togliere le mani dai miei occhi

troppa luce che devasta il cuore di chi sente i minuti

Ti cercherei ogni volta che sorrido ai miei perchè…

Ora torna a far finta di dormire…

Mirando al sole senza colpire il cielo

Preciso nel tender l’anima

Col volo frenato del mio voler colpire

quei soli che incendiano il mio dover esser felice

Siamo legno che arde senza freddo

Siamo pelle che avvolge la notte dei ricordi

Ma cosa rimane di me ora?

La tensione diventa un eclissi di pensieri

La freccia riduce l’amar questi nervi

Che ancora urlano pregando di lasciarli andare

Senti questo legno!

Bacia la mia imperfetta voglia di scoccarmi

La follia dell’attimo

Mira superba

Bersaglio fantasma

Ma così presente e così carnefice

Il mio vedere mira oltre il paradiso promesso

vede le stalle degli dei

dove schiavi ben vestiti si divertono a far nulla

Il mio sguardo mira oltre….

Ben oltre le parole che bruciano le albe a venire

Vorrei solo traffigere

ogni desiderio che arranca spezzato nei cieli a me troppo vicini

colpirli e immolarli alle passioni che sento e vivo nascosto nel mio unico mirare

Ora che il mio respiro è diventato un tamburo senza lacrime

Mirerò ai rimorsi senza averne

Mandando finalmente in pezzi

le vetrate di un paradiso a portata di mano

Scrivere…

Scrivere è fissare una pagina bianca come se guardassimo uno stagno pieno di pesci…. rimaniamo come orsi goffi e viventi a scegliere quali sono le parole- pesci da catturare per sfamarci… rendendoci così agili alla nostra fantasia
Karia JB

La morte

La morte ha diversi abiti con cui partecipare a concerti rumorosi.. ma l’uomo si concretizza solo al momento in cui ha perso la capacità di vivere…. troppe morti sono passate inutilmente…

L’Ipotesi Dante

Dante avrebbe preferito non rispondere

ubriacandosi di pane e sale fino ad aver sete infinita

rovesciarsi sulla schiena e mettere fronde all’asino

che veder riscossa inerme dell’italica gente

volgari malfattori che infin diverran pula

sommersi dai vermi dell’ipocrisia che si faran gloria

Dante avrebbe preferito lasciar un conto enorme

da pagar al bar di fronte

invitar virgilio e tutti i suoi fantasmi

per scappar sotto le finestre di una beatrice ormai scontata

“Apri sudicia donna!”

grida biascicando inutili persuasioni alcoliche

Una finestra s’apre

s’affaccia Beatrice

trucco pesante

stanca dal troppo amor donato

“Nessun sconto alla tua giovin vita mio Dante”

Da sotto

Naso adunco bestemmia alle selve

e se ne va in cerca di altri bar a cui inventar da bere

svendendo l’Italica becera orgogliosa sconfitta

Vivi con cautela

Regredire fino a diventar poco più di tutto

e’ un ipotesi reale di un icaro senza ali

scenografie semidistrutte

sopra un palco che fino a ieri viveva

Le macerie di un saluto

che ripercorrono senza fretta le stanze di uno stesso forse

Vivi con cautela fino a che puoi mistificare le tue azioni

le tue speranze di paternità assolute

Sono pochi mazzi di chiavi lasciati a riempire vuoti

sul davanzale di una casa senza uscite

Pochi passi

piccoli passi

inerti passi

Ma quando si arriverà ad aprire quella porta?

Vivi con cautela ogni secondo di attimi immobili

ogni gesto compare sulla scia di un volto

una corsa per divenire nulla

braccia appese in un sabba ingrato

sacrifici da scartare come regali di natale

Ed è pasqua

ma fuori piove

tutto assume un solo colore

tempera d’acciaio

per cieli a cui hanno dimenticato di metterci la firma

non sapremo mai chi ne è stato l’autore

ne mai chi ne ha strappato le forme

Vivi con cautela e ancora non ti accorgi di domani

riposa ora

senza pensare che sia una nuova scusa

ti accorgerai senza ferirti troppo

che nessuna spiaggia ha accolto il tuo naufragio

Stato dell’Arte

Noi proclamiamo lo stato dell’arte

la conseguenza storica e vitale di una rinascita dell’esser umano.

Contestiamo la dubbia moralità del fare arte, arte di viver e arte come espressione.

Per questo Noi liberi pensatori abbiamo deciso di conquistare spazi virtuali eppure reali, che si stagliano lungo le pareti di una nazione esistente. Conquistiamo non le terre, in quanto non definiamo confini politici ma confini di interesse, volontà e virtuosismi artistici,ma le volontà.

Lo stato dell’arte nasce dalla speranza che vuole arrivare a termine, a riscatto di chi è scomodo in un esser ambigui senza sfociare nel nulla delle pulsioni.

Arte intesa come arte di vivere, arte dei valori, arte dell’espressione. Non puntiamo alle intenzioni, ma ai risultati delle azioni e delle propagazioni.

La Legge nostra è un calvario di sogni e desideri, che ci portano ad aggregarci nel bene ultimo di una libertà espressiva. Scevra da falsità anche impercettibili, da ipocrisie nullafacenti, da politiche poco suadenti. Siamo la negazione del non vivere. La negazione dei sorrisi mascherati.

Qui si campa di poche e schiette parole.

Lo Stato dell’Arte è identificazione del non aver confini reali e irreali. Per questo è una nazione virtuale… raggiunge correndo dallo zenith al nadir e ritorna dietro le quinte per ripercorrere in tutta fretta lo spazio inespanso.

Chiunque abbia necessità di risolversi, di risollevarsi, di riscattarsi dalla schiavitù a se stessi.

Chiunque voglia guardare negli occhi un mondo e non spiarlo di traverso.

Chiunque potrà chiedere la nazionalità, chiunque abbia un valore unico di far arte la propria vita..

Una volta accettata la richiesta verrà consegnata cittadinanza e passaporto… nella lingua parlata dal richiedente.

Siamo pronti al rinascimento dell’uomo… al risorgimento del’intenzione e del valor di vivere

Lo faremo come espressione di ogni nostra parola

ogni nostra azione

ogni nostra ideazione

Libertà di rispettare le leggi delle nazioni che ci ospitano

ma ribellione alla morte di chi vive abbozzando i giorni senza mai finirne il dipinto.

Questo lo Stato dell’Arte

Nato in Urbisaglia

Baci di Fuoco

Il frammento più grosso che nascondo nel dito

è l’epopea di mari in tempesta che bagnano le parole

scintille apostrofate da marinai di legno marcio

Ecco come appare l’esser bruciati vivi

in un eterno nulla di fatto

Eravamo tutte a pregar di non soffrire un altro giorno

quando il sole ci ha negato il sorriso

Non si arde nel fuoco

ma in mari in tempesta di fuliggine come spade

La sensazione di prendersi attimi di vita

respirandoli con catrame e melassa

Anche lei

lei che era al mio fianco

che ho disprezzato

che ho allontanato

Ora brucia insieme alle parole non dette

a quelle feroci epilessie che noi chiamiamo sogni

Siamo tutte su questo ponte di una nave che brucia d’acqua

Cercando di scappare dall’occhio di dio

E’ il perdono che ci incute timore

non la condanna

Per quella possiamo usare il nostro dialetto lontano

Il capitano non c’è

è scomparso nel suo cimitero di paure d’acqua infuocata

Ricordateci così come desideri in fiamme che volevano respirare aria pulita

Sogni di madri affogate in poche mura di una nave chiamata vita

<Dedicato alle Donne del Triangle – ma anche a tutte quelle che sono sparite per aver voluto viviere>

Il nostro caro fetente

Un giorno di festa per i fetenti,

poichè lo siamo

Emaniamo sgradevoli odori

fuoriescono dalle nostre portate di parole

Che sia poesia

che sia un ciao

ha un odore sgradevole

un suono meticcio

Siate fetenti e contenti

Dite ciò che è sgradevole a chi non vuol ragion alcuna

Siate contenti di esserlo

che l’odore emanato sia di vago mondo lontano

siamo fententi e contenti

Ogni lettera pensata e aggiunta come pennellata di pittrici in ombra

Siamo sgradevoli ogni volta che diciamo la verità

emaniamo odori non salubri

ogni volta che trasudiamo ciò che vediamo

e che ci lascia in terrai con serpenti in attesa

Quegli stessi fetenti che si portano a discutere del mare

senza farsi bagnare

Non abbiate paura di puzzare di poesia

di tradire il precedente mondo di prima d’ora

Nessun universo tiene cura di voi

Caria Giovanni B.

Proclama per la giornata nazionale del fetente (Domenica 16 Gennaio Anno Domini Non pervenuto 2011)

Vivisezione

Lo guardai come si fa con i primogeniti altrui

quegli occhi tristi di pane e burro

le mani legate dietro la nuca

le gambe raccolte a ricordarsi venti e più favole

piangeva senza ritegno

la paura si fondeva con il nero del pavimento autoctono

era tutto pronto appena prima di festeggiare il problema di sempre

La suora in latex viola puliva le cicatrici con cui avrei operato

un enorme insegna al neon con su scritto “applausi”

ricordava al pubblico pagante come comportarsi prima di inorridirsi

<Ho fame> disse la vittima

tra un sorriso e un urlare intermittente

era indecisa se provocare panico o pietà

Inarcava le ciglia del suo volente piacere

diventava stesso peccato di quanti non avrebbero assistito

E mentre la musichetta dei jingle spronava la felicità

nelle famiglie a tavola

i riflettori incutevano il timore di reverenza ai piaceri del misfatto

La famiglia attendeva l’esecuzione in sacro silenzio

senza toccar il cibo sponsorizzato da cerberi incalliti

Il crocifisso appeso al muro ripensava alle ben più solitarie preghiere di una volta

mentre sistema la fascia di reginetto dell’illusione

Genuflettersi per collaborare gridava il regista

poneva la stanza in anteprima sui confessionali aperti al mondo

E gli applausi di incoraggiamento stendevano mani di velluto

sopra il corpo martoriato della vittima felice di esserlo

Ti renderanno il dolore dei canali a pagamento

sarai martirizzato dal non aver rinnovato l’abbonamento per vedere le partite

Alla vittima aggiustano il trucco

il regista castra la solidarietà con un “più audience!”

mentre sono solo le cavie del grande fratello a scriver testi scientifici in voga universitaria

La valletta insudiciata di lustrini usati

entra sorridendo al dolore che gli è costato il nulla

si avvicina al corpo di colui che verrà introdotto alla morte

Siamo puttane dai denti bianchi

idolatrati da prodotti di beneficenza ai posteri

Siamo paladini del bene perfetto visto solo in una telecamera

L’occhio della gente ha i suoi minuti di spot pubblicitari

sensazioni di consueta maturità televisiva

Ora accompagnata da corpi nudi la vittima viene issata sulla croce alla moda

ed è un martellante applauso di solitudine che la accoglie al martirio

Benvenuti al sacro e profano immolare

vivisezione degli intenti

scatole vuote da riempire di buoni sconto

pomeriggi domenicali a intagliare cataloghi di premi

telefoni irriverenti per rispondere alle domande dei sorridenti nuovi dei

E la vittima sorride

truccata da provino felice

triste poichè non apparirà nella replica del sabato

ma ci saranno madri pronte a prostituire i giochi delle proprie figlie

perchè possano sorridere in tv

Siamo maldicenze sussurrate in segreto davanti a milioni di interessati incoscienti

Ed ora lasciate che lo spettatore sia vivisezionato

l’ultimo spettacolo di un desiderio mai espresso

ma che la gente vuole

desidera

smania di morte in diretta

Se dio potesse

La cera cola dalle parole

che salgono alla volta di questa chiesa in ombra

Una fila di peccati che risplende dal loggione

In fondo i demoni dell’uomo invocano il perdono

degli altrui peccati

E scende l’agnus dei

incoronato da spezie e affamati penitenti

Che ne lacerano le carni insaziabili

Cibatevi del sacro sigillo

Avrà perdono dei suoi peccati?

Chi darà in pasto il corpo del martire?

E’ un continuo straziarne le carni

vesti pulite per un cannibalismo perenne

E cade dall’est del mondo

una treno di ferro di peccati non comuni

Siamo deportati del dogma umano

Gli araldi del dio delle immagini

Oggi si va in processione

ricordando che abbiamo ucciso chi assaporiamo come dio

Il ricatto dell’uomo

Dacci oggi il ricatto quotidiano

o bruceremo le tue effigi

Santa Maria grazia plena

Per un obolo bucato

inventeremo il tuo rosario

E sarà tutta la nostra corruzione

tutta la nostra volontà perversa

Latinizzate per non far pensare il volgo

ius primae noctis di periferia

dove i conti sono quelli innalzati dalla folla tagliente

Innalziamo le staute a farne vessillo

L’uomo dio sull’uomo folla

Se dio potesse riderene sareste sommersi

Se dio potesse amarvi

vi eliminerebbe

Se dio potesse perdonarvi

Ucciderebbe tutti i vostri sogni

E’ una preghiera di se dio potesse…

Appena prima di crocifiggerne un altro

Se lei potesse

Dove sono andati a sospirare quei momenti?

Un presepe senza mura di ferro a dimenticarlo

E’ un momento senza scatti

Ogni cosa ha la sua esatta movenza

Scene di caccia sui muri di un tavolino

Un bar in ombra mentre fuori il sole è cacciatore

Viola il tuo nome e avrai la mia risposta

Dove sono andati a morire i ricordi di ieri?

Oggi non hanno più forma

Si sono arresi al mio divenire sempre più incoerente

Una carezza sopra un polverone di parole

inutili

Lei si aspettava la vita immaginata

ma non ha mai preso parte ad essa

Lei immaginava la crocifissione del tempo

Il martire della follia

Lei ha ucciso i suoi dei

Li ha sepolti nei deserti dei suoi occhi

Lei non sa più amare senza paure

Lei non è

Per questo non hai più figli da generare

La paura del tuo attimo

è la condanna delle foche ammaestrate

il giudizio estremo di un mondo distante

Dove le parole hanno saputo trovar posto

sedersi

e addormentarsi senza sogni

Lei si sveglia e il sole si nasconde al suo sorriso

Negata dalla vita a dimenticarsi le presunzioni

La perfezione di un nulla

schiavitù che urla tra le sbarre

Eppure non le vedi…

Sei da sempre schiava di una gabbia aperta e in rovina

Ora il tempo si nasconde alle poche parole che ancora ripeti

Manichino dei sentimenti

manovrato dalle paure

Mi dispiace

Sono un passo oltre il tuo sguardo

Lascerò qualcosa a tutti

Ho lasciato detto che alla mia morte

il mio corpo sia donato ai miei nemici

Così avranno la loro vendetta

potranno finalmente vincere

In vita non avrebbero mai potuto farlo

l’anima è forte

la scelta di vivere troppo bruciante

Per questo gli dono un corpo vuoto

io sarò andato oltre

E loro potranno sentirsi dei

Anche per te che hai lasciato pochi stracci nel mio senso

Cosa ti potrei mai lasciare?

I drappi ricuciti di parole mai state dette così bene

Le scelte di camminare sopra lastre si ghiaccio scuro

diventare mia stessa madre e padre

bagnarmi alle fronti di statue nascoste

Sono un semplice desiderio

Spero di esserci ogni volte che morirò

O forse sarò distante da me stesso

talmente preso a colorar con le dita

queste scene in bianco e nero

Ed ora ci sono figli che non sanno riempire gli spazi vuoti

le case di un sottobosco umido

Improvvisarsi dignitosi mercenari

ed una volta l’armatura riscoprirsi feriti

Dove si sono nascoste le nostre parole?

Dove abbiamo lasciato i piccoli perversi passi fatti

per avvicinare i nostri desideri?

Sono orme nel bosco

o sopra asfalti incoerenti?

Lasciati lì

su quel piano levigato

Scivolerai ancora una volta dai miei ricordi

Lascerò qualcosa a tutti…

ma senza dimenticarmi

di portar con me

il mio sorriso e la mia rabbia